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Sacrario della Benedicta, vicino ai resti dell'abbazia un cantiere edilizio

Nei  giorni scorsi, sono andato a rivisitare il sacrario della Benedicta, ubicato sugli Appennini Liguri-Piemontesi. Con mia grande sorpresa ho trovato, in aderenza ai resti dell’antica abbazia, un cantiere edilizio in piena attività, nel quale sta prendendo forma una costruzione in cemento armato di notevole consistenza.
Dalla lettura del cartello di cantiere si apprende che si sta costruendo una struttura museale e di documentazione, permanente.  Mi si permetta, in considerazione anche del fatto che è notoria la mia formazione e adesione culturale all’antifascismo e quindi non rischio di essere frainteso,  di esprimere la mia meraviglia e il mio disappunto, nei confronti di tale opera.
Che necessità c’è di spendere tanti soldi pubblici per l’ennesima cattedrale nel deserto, con il pericolo, anzi a mio parere con la certezza che tale impianto, passato il momento celebrativo dell’inaugurazione, diverrà un corpo senza vita, un contenitore morto, un deposito di memorie che ben pochi, in quei rari momenti dell’anno nei quali  probabilmente rimarrà aperto,andranno a consultare, un corpo estraneo all’ambiente circostante che non ha bisogno di altri “monumenti” per mantenere e coltivare le suggestioni  e la memoria degli accadimenti tragici costì accaduti: basta la sua natura,il silenzio che l’avvolge, i ruderi  del monastero, i cartelli didattici ivi già collocati, essenziali ma efficacissimi per celebrare e conservare detta memoria .
Ma che bisogno c’è di introdurre in questo contesto,  già cosi impregnato di memorie, una colata di cemento inutile e inconciliabile con il contesto medesimo. Cosa  conterrà questo scatolone di cemento armato: libri, documenti, fotografie, oggetti? Provenienti da dove? Dallo smembramento di altre raccolte? Non è più realistico pensare che tale documentazione possa essere più facilmente raggiungibile e quindi consultabile, in qualche “museo” o archivio storico di Alessandria, piuttosto che di Novi o di Genova?  Questa  operazione demagogica e irrazionale mi ricorda tanto, negli anni sessanta,  l’ansia della Curia genovese (forse non solo quella) di costruire tante nuove chiese (peraltro, la maggior parte di queste, brutte), con il risultato di vedere oggi abbandonate o lasciate deteriorare, per mancanza di disponibilità finanziarie, tante antiche chiese (molto più belle, anche le più umili, di quelle di nuova costruzione).
Un sacerdote al  quale esprimevo il mio dissenso per come viene “venduta”, alla stregua di un marchio commerciale, l’immagine di Padre Pio, mi ha risposto che se Padre Pio avesse immaginato tutto quello che è stato costruito intorno alla sua figura, avrebbe rinunciato alla sua santità. Siamo certi che i ragazzi trucidati su questi nostri monti anelassero ad avere dei plinti di cemento armato fondati sulla terra imbevuta del loro sangue, e siamo certi che non si sarebbero ribellati all’idea che questi plinti, da loro non desiderati, costino alla collettività molto denaro, in un periodo nel quale le casse degli enti pubblici piangono miseria?            
Angelo Valcarenghi


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